Le cattive intenzioni…

di Gabriele Giacomelli.

Uno degli esperimenti più famosi della psicologia sociale è stato quello di Mayo condotto presso le industrie Howtorn.
Nella ricerca di dimostrare l’effetto positivo dell’illuminazione sulla produzione, Mayo fu colpito da un evento apparentemente incomprensibile, la produzione di relè aumentava anche quando le condizioni di illuminazioni diminuivano!
Mayo, nato e laureato in filosofia e psicologia in australia, nel 1927, mentre era docente alla Harvard Business School, partecipò ad un esperimento commissionato dalla Western Electric Company, in un proprio impianto che produceva materiale telefonico a Chicago (1),

Durante la prima fase di studio (1923-1927) furono evidenziati alcuni risaltati inaspettati: oltre all’aumento della produzione in condizioni di migliore illuminazione, fu registrato in generale un aumento della produzione anche nelle condizioni di peggiore illuminazione, un incremento che non poteva essere giustificato dalla sola illuminazione, in quanto era registrato in tutta la linea produttiva: durante i vari esperimenti veniva registrato un impegno addizionale dei lavoratori la cui unica spiegazione sembrava essere per “soddisfare” i ricercatori e dimostrare la propria abilità.

Questo concetto ebbe notevoli implicazioni, sia metodologiche che manageriali. Dal punto di vista metodologico, introdusse la consapevolezza che l’atto di osservazione in sé stesso può influenzare il comportamento dei soggetti della ricerca e, quindi, confondere gli effetti di altre variabili indipendenti. Dal punto di vista manageriale, la consapevolezza riguardò invece una correlazione, a quel tempo assolutamente inedita, e cioè che la comunicazione e l’interazione con i lavoratori poteva portare a maggiori livelli di impegno e di produttività.

Nella seconda fase della ricerca Mayo, assieme ad altri ricercatori, utilizzarono un campione di 6 donne (ed in seguito anche da un campione scelto da alcune partecipanti), che furono sottoposte a diverse condizioni lavorative, variando le pause e l’orario di lavoro, sempre spiegate anticipatamente e sotto l’osservazione di un supervisore che interagiva in modo amichevole. I risultati mostrarono un aumento in tutte le condizioni sperimentali, e paradossalmente anche nell’ultima che prevedeva il ritorno alle condizioni (peggiori) iniziali.

L’unica spiegazione del fenomeno fu che l’aumento di produttività in condizioni svantaggiose fosse dovuto al fatto che durante l’esperimento i sei individui si erano trasformati in un gruppo e il gruppo stesso aveva deciso di collaborare all’esperimento, avendo quindi la sensazione di partecipare liberamente, senza essere sottoposto a comandi dall’alto o limitazioni dal basso. Il gruppo maturò un maggiore senso di responsabilità, che sostituì alla disciplina imposta da un’autorità superiore, quella auto-imposta dal gruppo stesso, che in quanto tale rimase anche al momento del ritorno alle condizioni originarie.
Esercitando una libertà che prima non potevano avere, avevano creato un piccolo sistema sociale, che includeva anche l’osservatore. Tra di loro parlavano, scherzavano, e cominciarono a frequentarsi anche al di fuori del posto di lavoro. Egli concluse che ogni aspetto dell’ambiente industriale portava con sé un valore sociale: quando le ragazze furono “isolate” dal resto dei lavoratori per effettuare l’esperimento, ciò accrebbe la propria autostima; quando fecero esperienza di un rapporto amichevole con il proprio supervisore, ciò le rese più felici sul lavoro; quando egli discuteva preventivamente i cambiamenti con loro, ciò accrebbe il loro senso di appartenenza a un “team” allargato. (2)

La terza fase dell’esperimento (svolta tra il 1931 e il 1932) si avvalse di un osservazione più discreta di un gruppo di quattordici lavoratori addetti ai collegamenti elettrici che svolgevano un lavoro che richiedeva un certo grado di collaborazione. I risultati mostrarono come la produzione fosse regolata da soglie in alto e in basso entro le quali potevano avvenire le variazioni. La maggiore attenzione alle dinamiche relazionali e l’utilizzo di un’osservazione più discreta permisero di distaccare l’effetto “Howthorn” da quello dei “gruppi primari” che in sostanza mostrano come le persone tendano a ricoprire il ruolo nel “posto desiderato nella concezione altrui” (definizione di Cooley). Recentemente alcuni ricercatori hanno addirittura negato l’effetto “Howthorn” riconducendolo alla attività dei “gruppi primari” aprendo una discussione su tali fenomeni.

La forte comunicazione e disponibilità dei ricercatori fu il primo esempio di counseling aziendale. Infatti i ricercatori furono attenti a spiegare quello che sta accadendo sia quello che sarebbe stato modificato che i risultati emersi (feedback) ai soggetti osservati, furono disponibili all’ascolto ed invitarono anche ad esprimere le difficoltà che emergevano durante il lavoro.

Bibliografia:

(1) Mayo, E. (1949). Hawthorne and the western electric company. Harvard Business School.
(2) Paparelli, A. (2000). Gli esperimenti di Mayo : qual è stato il vero “effetto Hawthorne”? SDA Bocconi – Ticonzero, (14).